MOSTRA PERSONALE DI GIORGIO ALLUZZI A LAMEZIA terme

Ouverture & Vernissage: Sabato 29 Febbraio 2020 – H 18:00. Mostra munita di catalogazione personale.

Mostra personale presso la Galleria D’Arte: Arte Antica & Design, Lamezia  Terme. Italy. Piazza S.Giovanni. Centro storico di Nicastro.

Presiedono:

Critici e Storici Dell’ Arte: Dott.Gianfranco Pugliese,

Gallerist: Dott.ssa Adele Paola.

Dott Giuseppe Giglio. Presiede: Dott.Avv.Paolo Mascaro. Sindaco Di Lamezia Terme.

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Giorgio Alluzzi (Ascoli Piceno, Italy, 1962).

Se Leonardo Da Vinci intuì meglio di chiunque altro che gli oggetti percepiti dalla retina umana non potevano essere rappresentati con le loro giuste forme perimetrali sulle superfici bidimensionalizzanti di un’opera d’arte, qui, l’artista, Giorgio Alluzzi, è capace, alla stessa maniera del suo predecessore, di presentare nel suo travaille gli stessi contenuti, esprimendoli per mezzo di tecniche richiamanti il Sensorialismo materico, attraverso resine, carte, colle e colori vari, i quali, una volta miscelati insieme in un unico composto, costituiscono la base ontologica del suo manufatto artistico.

L’occhio umano è in grado di percepire delle informazioni provenienti dall’esterno come forme, colori e altro i quali, dopo essere stati messi a fuoco, possono trasmettere dei dati oggettivi impuri alla mente pensante di un soggetto intelligente, interpretante la realtà, il quale riesce, in tal modo, a contemplare dei cromoformavalori indicanti l’obiectum.

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Esso si manifesta negli spazi della sudditanza terrestre in tutta la sua potenza, divenendo così concreto e percepibile non solo agli occhi, ma anche al tatto, all’udito e all’olfatto. L’opera di Giorgio Alluzzi contiene in sé tutti questi aspetti, cioè i colori e le forme che percorrono le superfici del prodotto artistico in modo soggettivizzato. In effetti, le grandi macchie di colore risultano prive di linee di contorno massive e incisive, le quali, impostate sul piano dell’accoglienza materica, di chiara reminiscenza geometrica euclidea, permettono all’artista medesimo di esprimere la sua gestualità aniconica, tanto cara alle scuole francesi delle correnti pittoriche del Tachisme degli anni Quaranta e Cinquanta del Novecento e di quelle espressionistiche astratte della Scuola di New York, liberandosi, perciò, dalla famigerata prigionia della forma.

Giorgio Alluzzi intuisce, a differenza di Leonardo Da vinci, che l’obiectum percepito in lontananza non debba essere rappresentato negli ultimi piani di una superficie pittorica per generare un ambiente accogliente il soggetto, quale appunto lo spazio ideale, caratterizzante una prospettiva illusoria che permetta una tridimensionalizzazione artificiosa dell’opera d’arte, ma al contrario egli incentra la sua recherche artistica sull’oggettivizzazione dell’obiectum  nella sua interezza, anche se distante e semipercepibile dai sensi. L’artista rende visibile all’occhio gli oggetti lontani che hanno difficoltà a essere riconosciuti nello spazio posizionandoli in primo piano e non solo, concretizzandoli quindi in tutta loro magnificenza cromoformale e rendendoli persino percepibili al tatto umano.

Egli glorifica e pone nella totale osservabilità ciò che non può essere percepito chiaramente, in quanto nascosto o lontano dalla coscienza meditante l’obiectum. Una volta conclusa questa fase iniziale, l’obiectum medesimo è innalzato e celebrato come opera d’arte. La dignità dello stesso è conferita dalla selezione attuata dall’artista degli elementi migliori, tra le tante cose del Creato, che si manifestano in tutta la loro potenza ontologica attraverso il tempo e lo spazio, all’interno di questa dimensione. L’oggetto artistico, così selezionato, assume un valore totalmente differente rispetto al suo iniziale stato predestinante; inoltre, nel momento in cui è modificato dall’artista, Giorgio Alluzzi, l’oggetto artistico medesimo è di conseguenza estratto anche dal suo originario bacino di provenienza sostanziale, ontologico e immanente, determinante gli oggetti comuni di questa dimensione ospitante gli obiecta.

La ricerca di un preciso oggetto avviene all’interno di una realtà che presenta forme e colori che possono essere identici o differenti sia dal punto di vista qualitativo sia quantitativo. La selezione da parte dell’artista consta sopratutto di sue scelte stilistiche e morali che traggono nutrimento e sostegno da molteplici esperienze personali, succedutesi durante il corso della sua esistenza.  La curiosità è la forza che muove la maggior parte del travaille di Giorgio Alluzzi, il quale vuole a tutti i costi rendere ben visibile e tattile gli oggetti coltri e smarriti di questo macrouniverso tirandoli fuori dal loro nascondimento.

Le ampie pittosculture luminose riescono a emergere dalle forme geometriche che le contengono, attraverso gli aspetti e le tecniche dei bassorilievi, dove le diverse venature cromoformali si succedono in maniera dinamica in differenti direzioni, ovverosia in orizzontale, in verticale, in diagonale e così via, senza controllo geometrico e nella maniera più espressiva e libera da parte del loro esecutore, per l’appunto, l’artista stesso. Giorgio Alluzzi intraprende un viaggio sacrale, cioè s’inoltra in territori desolati, tutti da scoprire, in cui l’oltrepassare determinati perimetri e confini è severamente proibito dagli Dei, e ciò rappresenta per il pittore in questione un ostacolo da superare per concretizzare, all’interno della sua opera, l’obiectum, che, una volta manifesto in tutte le sue parti, si rivela, nella sua totale magnificenza, alla mente contemplante. 


Giorgio Alluzzi sottopone le sue forme geometriche al loro autosfaldamento. Se il geometrismo duro e razionale di Malevic e di Lissitzky ebbe grande risonanza nelle vecchie avanguardie, qui, nel travaille di Alluzzi, le forme pure sono sottoposte a un processo di dissoluzione e di estromissione dal piano di esecuzione dell’opera. I suoi cromoformavalori non presentano linee di contorno rigide, in quanto queste ultime non sono indispensabili perché incapaci di provocare o cagionare il ricordo di una forma geometrizzante pura.

La linea di contorno può manifestarsi in tante maniere, assumendo delle identità precise e facilmente riconoscibili. La medesima può essere spessa, curva, sottile, svellutata, monocromatica e tanto altro ancora. Sottoporre con delle linee perimetrali le figure di Giorgio Alluzzi significherebbe rinchiudere il colore all’interno di una gabbia geometrica, una situazione che causerebbe nello stato d’animo dell’artista un senso di chiusura e depressione totale. L’artista necessita della libertà assoluta dalla forma e non vuole sottoporre la sua ricerca a nessun tipo di inquadramento geometrico, magari egli lo rimembra, ma con il tentativo di annientarlo ed eliminarlo dalla sua vita confinandolo in territori desolati e tranquilli. Il cromatismo è l’unica via maestra che possa riscattare l’artista dalla durezza della vita con tutte le sue regole ferree, tanto che egli ce lo ricorda bene nel suo lavoro di pittore, in cui non esita a ripresentarci le forme dure e aspre della vita impresse nel ricordo delle vecchie forme geometriche, che, ormai appartenenti al suo passato, sono dipinte e quindi ripresentate nella loro disintegrazione totale.

Malevic rappresentava i suoi quadrati privi di linee di contorno, tuttavia erano estremamente perfetti a livello geometrico, dipinti in maniera bidimensionale con dei colori fortemente monocromatici, totalmente privi di sfumature e, come se non bastasse, si imponevano alla coscienza dell’osservatore nella maniera più pura per automanifestare direttamente se stessi e il loro monocromatismo informante. Sarà l’allievo di Malevic, il pittore Lissitzky, a tridimensionalizzare cerchi, rombi, quadrati e linee nel suo travaille, in cui l’oggetto da rappresentare assumerà dei connotati molto più realistici e meno astratti tramite i passaggi chiaroscurali, che saranno utilizzati di frequenza, per concretizzare gli oggetti nei giusti spazi della sudditanza prospettica ideale.

Giorgio Alluzzi evita le linee conformanti l’oggetto che possono essere diritte, curve, spesse, esili e tanto altro ancora e, oltre a queste, l’artista elimina anche il tridimensionalismo esasperante della forma idealizzante. Nel suo travaille non ha importanza raffigurare bene un evento nella sua certezza e concretezza perché i soggetti informali da lui rappresentati non possiedono più l’evidenza geometrizzante, in quanto tutta la sua pittura è destinata ad autoevaporizzarsi negli ambienti della sudditanza ontologica di questa esistenza. I ricordi ancestrali dell’artista sono espressi in maniera disintegrata, le forme, i colori e le macchie dei quali sovrapposti, intersecanti e miscelati fra di loro possono, in alcuni casi, conferire dei toni prospettici, realizzati dal loro succedersi nei vari spazi ospitanti, in modo sinergico e dinamico. La prospettiva è totalmente abolita perché non indispensabile per generare le sue forme geometriche in degradazione totale, che, sottoposte alle accese pennellate e alle spatolate a bande larghe di colore, accavallate o accostate, sono destinate a svanire e a eliminare per l’eternità la loro presenza ontologica, proveniente da un passato iconografico. Le vecchie forme geometriche o antropiche, rifiutate dall’artista, si ripropongono solo attraverso la presenza del loro colore rilasciato dalle medesime. Ricordarsi di un evento significa riconcretizzarlo in una forma pensante che può manifestarsi alla nostra coscienza nella maniera più diversificata. Le forme del pensiero possono essere pure, quindi esclusivamente pensate in quanto tali e non hanno bisogno assolutamente di un supporto esterno perché possano manifestarsi all’interno del nostro spirito. Queste sono inossidabili perché non conoscono la passione della concretezza ontologica, la cui sola giacenza cromo-formale negli spazi ospitanti della realtà genera in loro la decadenza in uno stato di decomposizione, dettata dalla finitudine.

Le idee pure, a volte, possono esclusivamente presentarsi di sorpresa e riescono a imporsi senza preavviso all’interno del soggetto pensante, per essere utilizzate allo scopo di determinare delle forme e delle sostanze ontologicamente presenti nella loro concretezza, modificandone l’immagine, ma non la sua essenza. La pittura di Giorgio Alluzzi non pone le sue basi sulle idee pure o innate, poiché le sue forme geometriche in decomposizione sono originate dalle esperienze esterne che si sono manifestate materialmente nella loro concretezza oggettiva, tramite l’esercizio dell’esperienza del soggetto pensante su questa dimensione e non in un’altra. Il suo pensiero dà vita alla forma iconica, che trae origine dal riflesso oggettivo e immanente, proveniente dal passato, il quale, rivitalizzato nella fase della consuetudine della memoria, ritorna e si ripresenta, dopo un lungo viaggio, scalfito e corrotto, perché costretto ad attraversare lo spazio della distanza che separa il passato dal presente. I suoi ricordi geometrizzanti sono pratici e non puri perché si ripresentano, dopo un lungo viaggio, scomposti e privi di linee di contorno rigide e informanti. Il suo colore è sporco e la luce prodotta dai pigmenti cromo-formali ha difficoltà a emergere e a trasmettere nella sua integrità la propria essenza. Una grande patina sembra ostacolare per la seconda volta la fuoriuscita delle sue forme nella loro concretezza, perché impegnate a preservare ossessivamente la loro essenza


Il pittore, Giorgio Alluzzi, rappresenta nel suo travaille l’intenso dinamismo di questa condizione ontologica, caratterizzata dall’autoconcretizzazione nei suoi vari enti e fondata sulla continua creatività e sull’incessante movimento scaturiti dalla vibrazione del grande suono ancestrale che comporta, come risultato, la realizzazione effettiva degli oggetti della sudditanza nei suoi cromoformovalori, dove la costituzione del geometrismo euclideo delle idee innate è decomposta per favorire alla coscienza del fruitore dell’opera d’arte la percezione dell’origine primordiale di tutte le cose presenti in questa dimensione.

Dunque, il compito del pittore in questione è di ricondurci verso un mondo in movimento, in cui tutto non ha una permanenza e una concretezza materica stabile, ma è contraddistinto da un continuo flusso di energie, la cui quiete abissale non è contemplata, perché non necessaria e non richiesta all’interno della sua recherche.

Egli non si sofferma affatto sull’apparenza degli oggetti statici dati, ma va oltre il loro scaturire in questa forma o in un’altra, generata, precisamente, da tanti piccoli elementi i quali, nonostante tutto, riusciranno un giorno a compenetrarsi o a entrare in simbiosi in una realtà sinergica che realizzerà un nuovo mondo, all’insegna della relatività di una dimensione apparente e ingannevole. La matrice oggettiva degli oggetti della sudditanza terrena è sottoposta nel travaille dell’artista a una decostruzione quantitativa e qualitativa per un bisogno spirituale, dettato dalla libertà dalla forma onnipresente su tutte le cose del Creato.

La creazione e tutte le sue manifestazioni oggettive non possono assolutamente convivere con l’artista, Giorgio Alluzzi, perché si autopongono nella loro certezza ontologica nella maniera più imponente e prorompente, senza che ci sia una certificazione e una convalida per il suo accesso alla sensibilità del soggetto meditante. La contemplazione obbligata è imposta da un oggetto all’interno dello spazio mentale teoretico che è sottoposto alla rimozione forzata da parte dell’artista stesso, il quale decide, a ogni costo, di disintegrare ciò che gli è stato dato dalla dura realtà.

Tutte le forme e i colori, che si rivelano senza autorizzazione al suo cuore e alla sua mente, conoscono nella pittura di Giorgio Alluzzi la loro morte tramite un processo di rifiuto e di frantumazione cromo-formale, affinché il tutto sia rielaborato a immagine e somiglianza del suo nuovo creatore: per l’appunto, l’artista in quanto tale. La realtà onnipresente non è decisa dagli uomini ma imposta da un ordine superiore che la specie umana può chiamare Dio o Madre Natura.

Certamente, sono tante le creature che non riescono ad accettare tutte le forme di religione o dello Stato atte a inquadrare gli esseri umani verso delle strade da percorrere per un futuro radioso e tranquillo, mentre sono molti, invece, quelli che decidono di seguire delle regole programmate da altri uomini per la loro specie, come ad esempio le forme sociali quali il battesimo, il matrimonio, i titoli di studio, i posti di lavoro e così via.


L’artista, qui, si ritrova solo di fronte a un mondo che si presenta con tutte le sue regole e le sue forme non richieste dallo stesso, di conseguenza le imposizioni forzate susciterebbero in lui uno stato di disagio emotivo che genera nel suo spirito una sorta di prigionia e un ostacolo alle sue energie le quali, per concretizzarsi, non hanno affatto bisogno di condizionamenti perché questi ultimi provocherebbero solo una situazione di morte apparente e di un’ulteriore sofferenza. I limiti non fanno per l’artista, Giorgio Alluzzi, che non ha nessuna intenzione di mettersi nella condizione della grande osservazione e della meditazione nei loro riguardi, dato che i primi sono da ostacolo alla sua libertà espressiva.

L’esplosione dei suoi tanti colori, scaturiti dalla sua iperattività, a dispetto di una vita uggiosa e piatta, non può altro che celebrare la sua risposta personale alle cose del Creato. Questa dimensione razionale, ordinaria e monotona non è stata decisa da Giorgio Alluzzi e la sua risposta pertanto è quella di reimpostare il tutto alla sua maniera per fare un viaggio nel passato delle cose, allo scopo di vedere la loro genesi e il modo in cui sono state create e determinate, per essere messe ben in vista dal popolo degli uomini.

Non serve presentarci delle cose belle se non si capisce cosa c’è dietro e quali sono le motivazioni per cui molti oggetti si mostrano al nostro cospetto durante il corso della nostra vita quotidiana senza che essi siano stati autorizzati, in questo caso, dall’artista medesimo perché essi possano esserci. L’oggetto imposto, in quanto tale, si palesa alla nostra coscienza senza che quest’ultimo sia evocato, perciò, una volta impostoci, può essere gradito o rifiutato secondo i gusti e le necessità del soggetto pensante. L’oggetto di Giorgio Alluzzi si ripresenta, nella sua pittura, in maniera primitiva e ancestrale, prima che questo si possa immanentizzare in una forma riconoscibile, quindi in una sostanza. 

Copyright© 2019

Testo:
Critico d’arte Gianfranco Pugliese

Grafica Riccardo Giorgi

Ufficio Stampa impossible-news

Valentina Roma